Al titolo del romanzo di Luigi Bertoni, ‘Vomitammo l’anima’, fa da contrappeso la tematica di fondo che ha animato e guidato la struttura del romanzo. Obiettivo dell’autore è aiutare quanti si sono trovati a vivere la sue stessa condizione, e in particolare gli stessi tormenti. Quel tipo di tormenti che lasciano senza fiato, che arrivano a dare l’impressione di togliere l’ossigeno e la linfa vitale alla persona che li soffre.
Il libro racconta la storia di un riscatto personale, della capacità di riprendere in mano le redini della propria vita e di ritrovare la giusta via dopo essere sprofondato nell’abisso della disperazione. Non tutti ci riescono perché non è facile, anzi è maledettamente difficile, l’autore lo sa per esperienza personale, ed è stato proprio questo a spingerlo a condividere la sua storia con il pubblico. Prima di tutto la descrizione di qualcosa che gli è familiare, e poi l’intenzione di offrire un aiuto concreto agli altri. Attraverso un libro in cui la serietà e la complessità dell’argomento vengono stemperate dal clima leggero di un racconto ambientato in un piccolo paese di montagna degli anni Ottanta.
Noi di Europa Edizioni abbiamo intervistato virtualmente l’autore. Per conoscere meglio lui. Per scoprire i retroscena del suo libro. Per capire quale ruolo occupa nella sua vita la scrittura. Lui ha risposto con disponibilità, aiutandoci a entrare nel suo mondo.
Riportiamo di seguito l’intervista a Luigi Bertoni.
Come ha scelto il titolo del romanzo?
Dalle nostre parti l’espressione “vomitare l’anima” si usa per descrivere l’apice dello stare male fisico, legato a intestino, stomaco, insomma quegli organi dell’apparato digerente. Ho voluto trasportare questo immenso senso di malessere da fisico a mentale, emotivo. Il titolo rispecchia il contenuto del libro anche se lo si trova in una particolare scena, minuti di immenso dolore che culminano in una vomitata reale, fisica. Un dolore che si accumula giorno per giorno, mese per mese, anno per anno, all’interno di un’esistenza, come tante purtroppo, dove non si intravede la via di uscita, ma come dopo una vomitata, in qualche modo si percepisce un senso di svuotamento e seppur difficile, una possibilità per riprovare, per ripartire. Non sempre questo accade e ci si trova dopo una lenta risalita pronti a precipitare di nuovo, a ritornare nei meccanismi subdoli della mente che ti riportano esattamente alla riga di partenza, che ti riportano ad un’altra ennesima vomitata.
Quanto c’è di autobiografico nel racconto?
Seppur romanzata, di autobiografico c’è la parte iniziale, la descrizione dei luoghi e delle famiglie. Le nostre montagne sono come raccontate, le stagioni, i profumi, i pregi e i difetti. La voce narrante che descrive, riflette, piange, ha di mio lo stato d’animo dall’inizio alla fine, l’apnea continua che mi ha accompagnato negli anni, quella malinconia, quel mal di vivere che mi ha scolpito il viso e il cuore. Nel libro spero e credo che si percepisca la complicità con chi non ha avuto un salvagente per rimanere a galla, ma con la testardaggine e la voglia di vivere, ha desiderato un’esistenza che valesse la pena essere vissuta perché gli spetta di diritto…
Aveva in mente un tipo di pubblico in particolare durante la scrittura?
Assolutamente no, non pensavo a qualcuno da raggiungere in particolare, volevo dare voce, semmai ne avessi avute le capacità, a quel nucleo di persone che sanno bene che vivere è difficile. Siamo l’esito di chi ci ha preceduto e di chi ci ha cresciuto. Nel libro sintetizzo dicendo”siamo la fine delle nostre famiglie”. Quindi, più che un’ambizione di propormi ad un pubblico in particolare, è stato un difendere altri, schierarsi con chi cresce senza mezzi per difendersi, che passano da molteplici incolmabili lacune: mancanza di affetto, violenze subite, tragedie, lutti. Il mio libro è per loro, con la modestia del caso, non sono uno scrittore, ma un manovale. Mi associo a coloro che sono venuti al mondo per avere una perpetua interminabile tribolazione, al contrario di una società che propone finti sorrisi. Mi arrivano messaggi di persone che hanno pianto come fontane, che hanno ricevuto una scossa emotiva e uno stimolo a riflettere. Molti ne vogliono parlare e poi loro stessi si prolungano in racconti di situazioni vissute. Questo è grande motivo di soddisfazione, senza volerlo il mio piccolo pubblico me lo sono creato.
C’è un libro al quale è particolarmente legato e che le ha insegnato qualcosa?
Non un libro ma un capitolo di un libro. L’autore è Tiziano Terzani, che in “Un altro giro di giostra” arriva sull’Himalaya, regione che amo più della mia. Il capitolo è “Un flauto nella nebbia”. L’autore è già malato e dopo un lungo girovagare in cerca di impossibili soluzioni per guarire dal cancro, durante una passeggiata con la moglie, oltrepassa un cancello arrugginito e intravede una piccola baita incastrata davanti a montagne innevate meravigliose. Conosce il vecchio che ci abita e da lì in poi la vita o la scontata morte del protagonista cambiano radicalmente. Quello che racconta l’anziano, a tratti buffo vecchio, mi ha conquistato, è riuscito come a Terzani a regalarci una pace interiore che quando appare ne succhio tutto il piacere. Lo scrittore successivamente lascia tutto e si accasa in una baracca a fianco di quella del vecchio e tira le somme dell’intera esistenza, si pone profonde domande, medita, si lascia trasportare dalla meraviglia della natura e vive di poco, quasi niente. Ambisco a tutto ciò…
Ha già un nuovo libro in cantiere dopo ‘Vomitammo l’anima’? Pensa di scegliere sempre Europa Edizioni come editore?
Si, ho già in cantiere un nuovo libro ed è già in fase avanzata.
La collaborazione con Europa Edizioni è ancora in una fase di sviluppo, quindi al momento non saprei.
Noi di Europa Edizioni ringraziamo l’autore Luigi Bertoni per averci dedicato il suo tempo ed essersi prestato a rispondere alle nostre domande. Gli auguriamo di ricevere il consenso che desidera da parte del pubblico e di avere con il nuovo libro le intuizioni brillanti che hanno reso speciale il suo manoscritto ‘Vomitammo l’anima’. Al lettore auguriamo invece di scoprire il senso più profondo e autentico del messaggio lanciato dall’autore.