‘La nostra ora più buia’ è il libro di Aureliano Buendia edito da Europa Edizioni.

Abbiamo intervistato l’autore per scoprire qualcosa in più sui retroscena che hanno portato alla stesura del suo libro. Riportiamo di seguito l’intervista effettuata dalla redazione di Europa Edizioni.
Com’è nata l’idea di questa storia?
Penso che le storie nascano da sé e che vanno delineandosi nella mente di uno scrittore passo dopo passo; in un dialogo introspettivo tra il sé ed il contesto nel quale si vive. Una specie di maieutica in cui sono le emozioni e le sensazioni a veicolare il percorso interiore che porta alla maturazione di un’idea o di una storia, come in questo caso.
Certamente in tutto ciò ha influito il contesto dell’emergenza sanitaria e gli interminabili mesi di “segregazione” vissuti durante le restrizioni imposte dal lockdown. Ogni trauma, ogni caduta è sempre foriera di un futuro percorso evolutivo di crescita. Ed è proprio nei momenti difficili che la mente umana sa estrapolare il meglio di sé. Ciò vale soprattutto in ambito artistico. Come non citare, nel caso specifico, il Decameron ed i Promessi sposi su tutte, le innumerevoli opere letterarie nate da grandi pandemie dei secoli passati che hanno evidentemente segnato, con il loro infausto passaggio, l’immaginario e la sensibilità dei letterati.
Quando ha sviluppato la passione per la scrittura?
Ogni passione, e la scrittura non fa eccezione, la si sviluppa coltivandola, sin dalla giovane età. La si accarezza addentrandosi nelle sue sfaccettature; avvicinandosi, a piccoli passi, ai grandi letterati del passato. Non si può non scrivere senza prima leggere, appassionarsi, immedesimarsi, commuoversi, sognare, sospirare, idealizzare, decontestualizzare o vivificare un pensiero, uno stile, un messaggio tra le righe delle pagine dei romanzi che più hanno segnato e caratterizzato la nostra personalità e la nostra vita.
Penso che, al di là di tutto, alla base di ogni passione vi sia la volontà di estrinsecare qualcosa che sarebbe difficile, se non impossibile, trasmettere con le parole. Un bisogno di comunicare le emozioni e le sensazioni più profonde, oltre che la parte più pura che ognuno di noi cela dentro di sé. Scrivere è come denudarsi e vi è, da parte di ogni scrittore, un estremo senso del pudore che prosegue parallelamente con il bisogno di veicolare un messaggio, a prescindere da quale esso sia. Gioia, dolore, disagio, paura sono solo note, più o meno grevi, di uno spartito. Ed è in questa dicotomia tra bisogno di comunicare e quel malcelato senso del pudore che si insinua, a mio modestissimo parere, il senso artistico alla base di un’opera letteraria.
Cosa le piacerebbe sentirsi dire dai suoi lettori?
Più che auspicarmi che i miei lettori mi dicano qualcosa che gratificherebbe, seppur minimamente, il mio ego o che mi lancino uno specifico feedback, preferirei di gran lunga ricevere la loro attenzione. Non è, questa, mera retorica; penso che il silenzio attivo e partecipato sia, forse, la più solenne forma di rispetto nei confronti di un relatore/scrittore/autore. Qualora così fosse, vorrebbe dire che la mia opera avrà destato la loro attenzione e che, nella frenesia della società moderna, i miei lettori avranno dedicato alcuni momenti della loro vita alla lettura di un romanzo che antepone il messaggio all’effimero, l’essere all’apparire. Penso che il mio romanzo sfugga a dall’essere inquadrato in un preciso filone letterario. Si insinua nella nebulosa di eventi storici attuali e variazioni distopiche alla realtà dei giorni d’oggi in essa inserite dal sottoscritto. L’intento desiderato, tra le pieghe di pagine più marcatamente di attualità, sul modello di un romanzo storico, e visioni future che assumono i connotati negativi del lato più oscuro e drammatico di questa nostra società, è quello di indurre il lettore alla riflessione. Non è questo, e vorrei precisarlo, un romanzo che offre risposte ai drammatici eventi attuali trattati nel libro. Semmai apre le finestre per illuminare gli angoli più bui di questi giorni, affinché dalla riflessione possano sorgere nuovi spunti, nuovi dubbi, nuovi interrogativi. A monte di un qualsivoglia iter conoscitivo o di una scoperta scientifica vi è la messa in discussione di un postulato ritenuto, fino a prova contraria, veritiero o l’osservazione, la sperimentazione e lo studio di nuovi sentieri, fino ad allora poco battuti, prima di giungere a facili o deleterie conclusioni. Il princìpio di falsificazione di Popper è e resterà alla base non solo della scienza ma di qualsivoglia spirito critico e libero. Del resto, e vorrei umilmente citare i famosi endecasillabi del Sommo Poeta, “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”.
Cosa ha significato per lei vedere il suo romanzo pubblicato?
La realizzazione di un’astrazione che si fa corpo e anima. Scrivere è un po’ come creare universi, da quel senso di onnipotenza in quanto si è artefici del destino dei protagonisti con i quali, però, si finisce con il solidarizzare. Certamente l’ho vissuto come un momento gratificante, di vivida emozione per quello che, in fin dei conti, è stato come un malinconico commiato. Un inizio di una storia per chi legge il romanzo, la fine di un’idea per chi lo scrive. L’idea che prende forma e si distacca dal suo creatore che ne resta, paradossalmente, orfano. Il romanzo è concepito per essere letto e per diventare veicolo di condivisione di messaggi e di storie, qualcosa che evolve e che assume nuovi significati, a seconda di chi lo legge, che, inevitabilmente, si discosteranno dall’idea iniziale dello scrittore. Nello scrivere, così come avviene per ogni forma d’amore, si instaura un rapporto intimo con la propria opera che assume le sembianze del senso di protezione, della gelosia, delle premure e della complicità che si hanno con la persona amata, con tutto ciò che ne consegue in termini di affetto e di sconforto per le contingenze e le vicissitudini della vita.
Sta già lavorando su altri progetti dopo ‘La nostra ora più buia’?
Questo romanzo non nasce come una monade bensì si innesta in un universo spazio-temporale parallelo. Una realtà irreale che muove e che muoverà dalle vicende della nostra epoca. Il romanzo dissemina nuovi sentieri, tra passato e futuro, da percorrere. Nuovi orizzonti della mutevole contemporaneità e dei suoi bacilli in un passato non ancora del tutto delineato. Affinché si possa ipotizzare un futuro, più o meno lontano, andrebbe prima esplorato e sviscerato ciò che è già accaduto. Il romanzo si snoda tra passato, presente e futuro in un’atemporalità visionaria ed immanente poiché già insita in ciò che è stato e che sarà. La ciclicità del tempo è un tema che si snoda lungo le pagine del romanzo, lasciando intravedere future visioni fra passato e futuro da delineare lungo scale temporali frastagliate. Del resto, la concezione di linearità del tempo è una fallace convenzione della società occidentale.
Il concetto di ‘ricostruzione’, emergente negli ultimi versi del libro, lascia aperta l’immaginazione a nuove pagine da raccontare, a nuovi spazi da scoprire e a modi diversi di intendere la vita e le cose che la rinverdiscono ogni giorno.
Noi di Europa Edizioni ringraziamo Aureliano Buendia per la disponibilità e gli auguriamo di ottenere il riscontro che desidera da parte dei lettori.