‘La maledizione della farfalla pavone’ è il romanzo di Carlo Benetta edito da Europa Edizioni.

E’ un racconto serrato che attraversa la vita di due fratelli, di due città, di una donna e di una maledizione … il ritmo serrato aiuta a entrare nel vivo della storia, per arrivare a un finale teso tra colpi di scena e segni del destino.
Noi di Europa Edizioni abbiamo intervistato l’autore del libro per scoprire qualcosa in più su di lui e sui retroscena che hanno portato alla scrittura del suo romanzo.
Di seguito riportiamo l’intervista realizzata a Carlo Benetta su ‘La maledizione della farfalla pavone’.
Come hai scelto il titolo del libro?
Non è stato facile inizialmente. Tutto parte dalla convinzione che la parola “maledizione” calzasse bene con l’idea di storia che avevo il desiderio di raccontare così, lungo il corso del mio viaggio, di tanto in tanto mi misi a pensare a come completare quello che per quasi tutta la stesura del testo fu solo un abbozzo di titolo embrionale ed incompleto. Mi chiesi quindi che cosa stessi raccontando con le mie parole e giunsi alla conclusione che, oltre alla maledizione, nello schermo illuminato del mio pc trasbordava la “ricerca della perfezione”. O meglio, la ricerca della perfezione da parte di un uomo che era in grado di influenzare quasi ogni cosa con le proprie scelte. Da qui, l’idea di raggiungimento della perfezione mi ha portato a ciò che viene anche accennato tra le pagine del libro, ovvero la metamorfosi del bruco. Con una ricerca in internet scoprii così quale farfalla veniva considerata la più bella in natura e me ne innamorai subito. Avevo quindi ottenuto quello che pensavo fosse il titolo perfetto per la mia storia: La maledizione della farfalla pavone. L’ossessione a voler raggiungere una perfezione che, purtroppo, non può esistere.
Hai sempre amato il genere del thriller?
In realtà qui penso sia presente una crepa sul muro della mia mente che mi porta a dividermi in due realtà differenti. La lettura contro la visione di un film. Nel primo caso infatti credo di aver sempre preferito dedicare il mio tempo ad una narrativa più distaccata, meno coinvolgente dal punto di vista della tensione, non per questo meno emotiva. Non sono bravo con le classificazioni di genere, con le etichette, ma credo che Guy de Maupassant, Hemingway, Fitzgerald, John Fante, Bukowski, Mishima e altri, tra i miei autori preferiti, possano appartenere ad una categoria differente anche se non sempre è così come per esempio alcuni romanzi di Mishima o nel caso di Fitzgerald che potrebbe rientrare fra i thriller psicologici per esempio con Tenera è la notte o lo stesso Gatsby.
Thriller psicologici che adoro invece quando mi metto comodo sul divano a guardare un film. Mi vengono in mente Old Boy, Psycho, American Psycho, Shutter Island, il silenzio degli innocenti e tanti altri che rappresentano alcune delle mie pellicole preferite.
Per concludere quindi direi che l’ho sempre amato, maggiormente quello psicologico, e principalmente attraverso lo schermo di una televisione rispetto alle pagine di un libro.
Qual è il primo libro che hai letto?
Non posso averne la certezza assoluta perché ormai si parla di troppi anni fa, precisamente penso avessi tra i 6 e i 9 anni, ma credo di poter affermare con una discreta convinzione che si trattasse della collana di Piccoli Brividi, di Robert Lawrence Stine e più precisamente quello che ricordo di aver tenuto tra le mani con maggiore vividezza è sicuramente Il pupazzo parlante. A braccetto con quel periodo ricordo agli ultimi anni delle scuole elementari di aver dovuto leggere La gabbianella e il gatto, breve storia a cui ancora oggi sono molto affezionato, per poi arrivare alla prima media con l’intramontabile Harry Potter. Ad oggi però, a parte qualche frammento del pupazzo parlante, non ricordo il contenuto di alcuna pagina letta della collana di piccoli brividi mentre per fortuna la memoria non mi ha ancora abbandonato con i successivi libri citati. Dopotutto l’attenzione alla vita, mescolata al tempo e alla nostra consapevolezza, decidono per noi cosa conservare e cosa metterci da parte. Magari prima o poi li riprenderò in mano, anche solo per rispolverare il passato.
A chi si rivolge il tuo romanzo?
Ad essere onesti durante il parto del mio romanzo non mi sono mai chiesto a chi si sarebbe potuto rivolgere. Avevo la necessità di raccontare questa storia e così lo feci. Se oggi mi viene posta questa domanda però posso soffermarmi sul mio testo e cercare di capire meglio se anche qui si possa fare una classificazione che, ancora una volta, non apparterrebbe completamente ai miei schemi mentali. Ritengo che il fascino della scrittura si vesta anche della libertà di appartenere al mondo intero e che le parole possano danzare sul proprio palcoscenico spaccando catene di vincoli e convinzioni che sopprimono le emozioni più autentiche e così un autore trascende la destra e la sinistra, il bianco e il nero, il giusto e lo sbagliato.
Nonostante ciò ritengo che il mio testo possa piacere maggiormente a chi è alla ricerca di qualcosa di emotivamente forte, a tratti crudele e a tratti amabile. A chiunque piaccia emozionarsi e che non ricerchi un’emozione semplice fine a sé stessa ma che sia pronto ad immergersi anche in acque torbe di peccato e odio allo scopo di raggiungere poi la superficie agognata che non bisogna dare per scontato si possa raggiungere mai.
Sei già al lavoro su un nuovo progetto?
Ancora no. Avrei sempre qualcosa da dire ed anche in questo caso avrei già pronta la bozza della prossima storia che vorrei raccontare ma il problema è sempre lo stesso. Sedersi e perdersi tra gli anfratti della propria mente e le parole che ne escono fuori ed essere pronti così a picchiettare con veemenza i tasti consumati del computer con le dita. Purtroppo però, come descritto in Chiedi alla polvere, “non si può essere in due posti contemporaneamente: o si è alla macchina da scrivere oppure nel mondo a fare esperienza. Pertanto se si vuole scrivere e fare esperienze di cui scrivere bisogna imparare a fare tanto con poco” ed io diciamo che ci sto ancora lavorando. Sedersi per scrivere la prima pagina è la cosa più difficile e troppo spesso decido di mollare tutto a priori per dedicarmi a qualcos’altro. Scrivere richiede un enorme dispendio di energie mentali per me e troppo spesso scappo altrove. Quando finalmente poi riesco a riempire di colore quella prima pagina bianca tutto diventa più semplice perché della mia passione ne vengo finalmente catturato nuovamente, travolto, appartengo alla storia, e legarmi alla scrivania non diventa più un peso insormontabile ma una necessità imprescindibile.
La redazione di Europa Edizioni ringrazia ancora l’autore per la disponibilità a rispondere alle nostre domande e gli augura di ottenere il riscontro che desidera dai suoi lettori per il suo libro ‘La maledizione della farfalla pavone’.