Intervista a Rolando D’Alonzo, autore di Bros’ Cafè

Bros’ Cafè è il libro di Rolando D’Alonzo edito da Europa Edizioni. L’autore ha scelto di ambientare il romanzo tra l’epoca contemporanea e il periodo della Seconda Guerra Mondiale, per dar vita a due storie parallele che confluiscono in una sola. Il protagonista a viaggiare con la mente tra passato e presente, tra la sua vita per come la conosce e una vita che salta fuori all’improvviso e gli è stata nascosta, oscurata, negata. Oggi lui si mette sulle tracce di un segreto di famiglia suscettibile di cambiargli la vita.

Noi di Europa Edizioni abbiamo intervistato l’autore del libro per scoprire dettagli e curiosità su di lui e sulla genesi della sua opera.

Riportiamo di seguito l’intervista a Rolando D’Alonzo sul romanzo Bros’ Cafè.

Lei è una persona con numerose passioni. Quando e come è nata quella per la scrittura?

Dopo la scoperta del piacere della lettura, nell’adolescenza, mi è nata la passione di inventare storie e scriverle. Anche la poesia mi affascinava, la possibilità di variazioni musicali che intuivo in essa, il pathos emotivo in grado di dare forma alle immagini più recondite. La prima ( non d’amore) la scrissi a quattordici anni: risentiva dello stile barocco e romantico, frutto di approcci disordinati, voraci, ero onnivoro, leggevo molto. Il primo racconto, invece, a sedici anni; protagonista era il mare, geografico e metafisico, una giovanile trasfigurazione in cifra classica dell’arcipelago delle Tremiti. Venne pubblicato su un giornale interscolastico. Dai diciotto ai vent’anni nutrii la fantasia di poter scrivere dietro contratto editoriale. Perciò mi rivolsi, con ingenuità ed entusiasmo, alla redazione di alcune riviste che allora pubblicavano racconti a puntate. Mi risposero che per intraprendere la carriera di scrittore avrei dovuto trasferirmi a Milano o a Torino… e io, purtroppo, abitavo in borgo periferico del Mezzogiorno… Mio padre, per consolarmi, mi incitò a continuare e mi regalò una bella Olivetti 22. E su di essa si è svolta la maggior parte del mio lavoro creativo. L’ho dismessa solo qualche anno fa, ma la conservo come cimelio prezioso, una cara memoria, viatico per “transiti” particolari.  

Ha delle abitudini particolari durante la scrittura?

Non ho abitudini specifiche, se non quella di scrivere a mano la prima stesura e gli appunti di varia ispirazione. Ho sempre accanto una risma di fogli, qualche taccuino e delle biro o matite. Non resto al “chiodo” per più di 30/40 minuti per volta. Quando esaurisco la vena o termino di allineare sulla carta i suggerimenti del daimon di turno, me ne vado a fare quattro passi fuori casa. Non ho orari fissi, né mi ritiro nei luoghi tipici della tradizione nobile o borghese: biblioteca, studio. Preferisco scrivere di notte o di mattina, specie quando al risveglio qualche Musa benevola mi detta l’incipit di una nuova poesia, di un racconto, di un romanzo. Mi piace lavorare anche in posti di fortuna: sale d’aspetto, treni, autobus, aeroporti, giardini, luoghi comunque di passaggio … niente mi disturba, la vita in “presa diretta” dona slancio alla mia scrittura. 

A quale libro tra quelli che ha scritto si sente più legato?

Mi sento legato in modo particolare alla raccolta Fancy Hand ( Bastogi 1985) che scrissi tra Parigi e Londra, negli ormai lontani anni ’80, e poi a Lune, canzoniere dell’esilio (Tabula fati, 2015) e a Mane (Tabula fati, 2018). Questo per quanto riguarda la poesia. Per la narrativa, mi è molto caro Osman il turco e altri racconti (Orient Express, 2002), firmato con l’eteronimo di Efel Trani.

Quanto di lei c’è nel protagonista del libro?

Molto. Oltre al compito di seguire le tante strade della fantasia e lavorare sulla lingua alla ricerca di una cifra stilistica personale, adatta all’argomento, penso che un narratore debba sempre avere un piede ben saldo sul terreno del proprio tempo. E non solo per essere testimone della Storia ma anche, o soprattutto, per dare al racconto  un senso più diretto e coinvolgente, per offrire dimensioni speculari continue al “sogno”, alla trama e al progetto romanzesco. Quindi deve prendere sulle proprie spalle la consistenza degli avvenimenti del suo tempo, inventati o reali che siano, e saperne sopportare il peso. In Bros’Cafè del mio vissuto, del mio impegno nel mondo, c’è molto: ho partecipato in prima persona e in  varie forme alle tante lotte di quegli anni, svoltesi in varie città, nelle università, nelle fabbriche occupate. Ho lavorato alla Rai nel periodo più problematico per l’Azienda, quando cominciavano a svilupparsi le prime trasformazioni delle Reti, dovute a sordide lotte di potere e alle rivalità tra gli ordini professionali. Quindi ho trasposto nel romanzo il clima di quei giorni, il ripensamento su certi fatti dell’Italia anni ’70: il confronto di opinioni, gli anni di piombo e gli anni del sottogoverno, gli anni in cui inizia il declino dello Stato, l’affievolirsi di tanti ideali, quando ogni forma di malaffare  comincia a insinuarsi nelle Istituzioni e a minarne la fiducia. E anche la sofferenza di tanti intellettuali indipendenti e disincantati, non compromessi con le logiche del potere e con gli interessi non sempre puliti delle nomenclature. Inoltre alcuni personaggi del romanzo ricalcano le vicende di vari miei famigliari.

Perché ha deciso di ambientare la storia durante la Seconda Guerra Mondiale?

Perché una quantità di problemi sociali e politici, una serie di gravi crisi internazionali e la mutazione antropologica dell’uomo europeo (italiano in particolare) hanno avuto origine proprio durante le lotte di Liberazione e alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Perché a causa di questa guerra si sono ridisegnati i confini dei paesi postcoloniali, alla luce di contrastanti interessi. Perché, ancora, la Seconda Guerra Mondiale ha dato l’ avvio (proseguito anche durante gli anni della Guerra Fredda) a migrazioni di gruppi di varie nazionalità: in primis gli ebrei europei, a seguire asiatici e americani, verso i territori nuovi di Israele. E tuttora stiamo assistendo ai tragici avvenimenti derivati dall’incongruenza di alcune risoluzioni internazionali e dalla poca fermezza degli Stati Europei nel risolverli.

Noi della redazione di Europa Edizioni ringraziamo D’Alonzo per la disponibilità a rispondere alle nostre domande e gli auguriamo il meglio per il suo libro.

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