Risalendo il fiume è il libro di Paola Salino pubblicato da Europa Edizioni. Nel romanzo viene affrontato il tema del rapporto madre-figlia, con uno sguardo approfondito sul difficile rapporto tra due donne che vengono da esperienze difficile.
Entrambe segnate da una storia di distacco tra loro, di lontana dal paese natio, di conflittualità radicata che non permette di avere un rapporto sano, si trovano un giorno a fare i conti con il passato … e i colpi di scena non mancheranno.
Per saperne di più abbiamo intervistato l’autrice, che ha risposto in modo particolareggiato a ogni nostra domanda.
Di seguito riportiamo l’intervista condotta dalla redazione di Europa Edizioni a Paola Salino, autrice del romanzo ‘Risalendo il fiume’.
Lei ha molti interessi: quando è nato l’amore per la scrittura?
Sì ho molti interessi di vario tipo. Da adolescente ho scoperto il piacere di dipingere e vi ho dedicato molte delle mie energie. Ho partecipato a esposizioni d’arte sia individuali che collettive. Ho lavorato principalmente con l’acquerello e ho disegnato folle, persone, ammassi di case e oggetti. Con il pennello ho voluto esprimere emozioni, riflettere su situazioni e su esperienze che vivevo di persona. Insomma raccontavo storie attraverso i miei quadri. Il titolo era molto importante nell’opera e tracciava una buona parte della storia. Passare dall’acquerello alla penna è stato naturale. Mi è comunque sempre piaciuto scrivere, l’ho fatto da adolescente e in questi anni all’interno del mio lavoro di psicologa scrivendo brevi articoli su riviste specializzate e in occasione di eventi formativi. A livello personale ho scritto inizialmente poesie (lo facevo da adolescente e poi l’ho ripreso qualche anno fa). Poi ho scritto racconti che mi permettevano di tracciare velocemente una storia. “Risalendo il fiume” è il mio primo romanzo.
Quello che mi piace fare è riuscire a mettere in parole situazioni difficili, toccare temi importanti.
Cosa prova quando scrive?
Scrivere è una dimensione in cui ci si immerge lontano dalle fatiche quotidiane, uno spazio in cui si è liberi di creare, di raccontare, di far emergere ricordi e di trasformarli, di partire dalla propria esperienza e di andare oltre. E’ anche uno spazio in cui si lavora e ci si impegna per esprimere con le parole contenuti interni, si fa una stesura iniziale e poi si corregge e ricorregge fino a quando le parole fluiscono bene, assumono un significato compiuto.
Scrivere ha per me due valenze: da una parte diventa il modo per esprimere pensieri, dolori, fatiche, dall’altra è un modo per creare, per lasciare andare la fantasia, per giocare. Quindi ha un effetto terapeutico e catartico rispetto a esperienze difficili e dolorose, ma allo stesso tempo ha una valenza ludica e di libertà di espressione.
La passione per il dipingere mi ha portato a raccontare con la scrittura scene definite e a dare molta importanza al canale visivo.
Come ha scelto il titolo del suo libro?
Il titolo è venuto verso la fine del romanzo. Inizialmente avevo pensato ad un titolo più impegnativo che facesse riferimento al tentativo di cancellare e dimenticare le esperienze traumatiche o che centrasse con l’importanza di un lavoro su di sé nella costruzione dell’identità.
Poi mi sono immersa sempre di più nella storia che stavo scrivendo e nelle caratteristiche della Lituania, terra di laghi, fiumi e boschi. Ho trovato, come spesso mi capita, un’immagine che raccontasse bene la situazione. Era quella di una donna che cerca di risalire il fiume all’inizio ostacolata da oggetti di ogni genere e acque tortuose, poi via via maggiormente accolta da acque limpide e più calme.
Ho collegato il tentativo di risalire il fiume con quello di ricostruire i ricordi, di riallacciarsi ai legami lontani, al paese natio, cosa indispensabile nella costruzione di un’identità che Nina cerca di fare. Anche l’acqua è simbolica e riporta alla madre, al ricongiungersi con lei.
Quando sono andata in Lituania avevo in mente il titolo, esplorarla e vederne alcuni luoghi non ha fatto che confermarmelo.
Nel romanzo esplora il rapporto tra madre e figlia: quanto c’è di lei?
Credo che nei personaggi principali e secondari di un romanzo ci siano parti e caratteristiche dell’autore che si mischiano a quello che la fantasia poi costruisce.
Per quanto riguarda la mia storia personale, io e mia figlia facciamo famiglia, siamo rimaste sole dopo la morte di mio marito. Ma ora io vivo sola e mia figlia vive e lavora in un’altra città. Mi appartiene la lotta per vivere, il dover affrontare situazioni non facili, l’essere rimasta sola ad occuparmi di una figlia.
La trama appartiene invece alle tante situazioni che ho conosciuto a livello professionale in cui donne sole straniere venivano a vivere in Italia per lavorare e, attraverso molti sacrifici, chiedevano il ricongiungimento con i propri figli. Io ho conosciuto quei figli una volta diventati adolescenti e osservato la loro fatica di inserimento sociale e scolastico, l’idealizzazione del paese d’origine, la fatica a comprendere il motivo vero per cui erano stati portati in Italia. Ho osservato la fatica a comunicare, l’incomprensione spesso presente nella relazione tra quelle madri e i propri figli.
Ha delle abitudini particolari durante la scrittura?
Per scrivere ho bisogno di uno spazio definito in cui potermi concentrare. A casa ho uno studio e un computer e lì scrivo. Faccio una prima stesura, poi correggo e ricorreggo fino a che la frase e il brano non mi soddisfano, fino a quando le parole non esprimono il concetto che ho in testa.
Le idee invece mi vengono in momenti diversi della giornata: la sera quando cerco di addormentarmi, di giorno quando, anche compiendo un’attività, posso concentrarmi su me stessa e pensare ai vari contenuti.
Ad esempio amo viaggiare e il treno è uno dei miei spazi preferiti, o una passeggiata nei boschi, o stare nella mia casa della montagna o fare giardinaggio… Si creano cioè momenti e dimensioni in cui ci si può rilassare, in cui i contenuti da soli si affacciano alla mente e poi io posso ripetermeli e lavorarci sopra … Uso molto la memoria, quando scrivo una cosa l’ho elaborata mentalmente più volte. A quel punto arrivano anche idee nuove, spunti che si mischiano alla trama che avevo in testa. Cerco di non irrigidirmi su quanto pensato e immaginato in precedenza e lascio fluire parole e contenuti fissandoli sulla carta.