Il Treno è il romanzo di Miryam Marino pubblicato da Europa Edizioni. E’ un romanzo in cui la realtà si fonde con la fantasia e in cui una ambientazione visionaria cede il posto a una situazione di condivisione e di comunità.

Un treno che viaggia verso l’ignoto; dei viaggiatori che non conoscono la destinazione; un mistero da affrontare tutti insieme. Questi gli ingredienti di un romanzo dalla trama originale e dalla narrazione fluida, che tiene avvinto il lettore dal primo all’ultimo momento.
Il Treno di Miriam Marino corre verso la soluzione del mistero e in attesa di risolverlo noi di Europa Edizioni abbiamo intervistato l’autrice per conoscerla di più e vedere cosa c’è dietro il processo creativo che ha portato alla scrittura del libro.
Riportiamo di seguito il testo dell’intervista
Da dove nasce l’idea di un romanzo ricco di suggestione e suspense?
Il primo stimolo a scrivere questo romanzo mi è venuto da un sogno. Nel sogno volevo scrivere un romanzo e chiedevo a un amico che era con me di suggerirmi un argomento. Lui rispondeva che sicuramente avevo già un’idea di quello che volevo scrivere, ammettevo che in effetti volevo parlare di un treno e lui domandava “che cos’è il treno per te?” Rispondevo “la morte”. Riflettendo sul sogno consideravo che il treno è associato al concetto di viaggio e la morte è l’ultimo viaggio che faremo. Il fatto però di non considerare il treno un mezzo di trasporto verso l’ultima meta ma di farlo diventare la morte stessa mi ha permesso di giocare sullo straniamento dei passeggeri catapultati in un campo ignoto del quale non riescono a spiegarsi le leggi, almeno fino all’epifania finale. Molto spesso i sogni mi hanno rivelato a me stessa e mi hanno suggerito intuizioni che mi sono state utili nella vita come nella scrittura. Ho sempre pensato che noi vediamo solo una piccola parte del mondo che ci circonda e che noi esseri viventi su questo pianeta siamo collegati all’infinito e al suo immenso mistero.
Quando ha iniziato a scrivere?
Potrei dire da sempre, nel senso che fin da bambina pensavo che sarei potuta essere solo una scrittrice. Da piccola non giocavo con le bambole ma inventavo storie. Ritagliavo delle figure dalle riviste e le facevo agire come personaggi di commedie da me inventate muovendole sulla scena di un teatrino che mi ero costruita usando delle scatole di cartone. Quando mi mandavano a comprare il pane scrivevo i pensieri che mi venivano in mente durante il tragitto dal negozio a casa, sulla busta del pane. Scrivevo continuamente anche se non sempre conservavo questi elaborati. Il primo romanzo l’ho pubblicato nel 1978 quando avevo 28 anni. Ho continuato a scrivere anche dopo tanto che i miei cassetti sono intasati da manoscritti, ma durante i dieci anni successivi non ho pubblicato nulla perché ho dovuto concentrarmi su problemi personali che non potevo eludere e ho ricominciato a pubblicare negli anni 90’.
Quale messaggio vuole trasmettere al lettore con questo romanzo?
Viviamo in un mondo globalizzato e sempre più tecnologico, quindi spersonalizzante, alienante e materialistico. I valori che ci vengono suggeriti e proposti ci allontanano dalla nostra vera natura e rendono la nostra vita vuota di senso. I personaggi di questo romanzo placano la loro angoscia quando riconoscono che hanno sempre mentito a se stessi e si sono allontanati dalla loro anima, cioè l’unica cosa che veramente conta, che ci rende umani e degni del dono della vita. Il messaggio è quindi di non perdere se stessi, di non vendere l’anima per un piatto di lenticchie o di uno smart o peggio. Altrimenti ce ne pentiremo perché saremo infelici su questa terra e sempre insoddisfatti e quando finirà il nostro viaggio terreno non porteremo con noi niente altro che la nostra anima, sarà meglio quindi non ferirla e umiliarla. C’è però anche un altro messaggio e riguarda l’idea della morte che nella nostra società è un non detto, un tabu e molti sfuggono questo pensiero perché ne hanno paura. Ma la loro paura nasce proprio dal fatto che hanno ignorato sempre la loro natura di esseri multidimensionali e si sono pensati come un corpo fisico dotato di un cervello, allora cercano di attaccarsi a questa vita fisica a ogni costo e a qualunque prezzo, cadendo anche in subdoli inganni. Quello che cerco di comunicare è che la morte non è la fine del viaggio, che è parte della vita e ci traghetta solo in un altra dimensione, una dimensione spirituale che tanto più sarà felice quanto più sarà compresa finché siamo su questa terra. Ma se non si vive veramente, con passione, con amore e consapevolezza morire è difficile perché ci si rende conto di aver vissuto una vita inutile che non ci ha fatto crescere e fare vere esperienze. L’ansia della morte è tanto più forte quanto meno si è vissuto.
Ha tratto ispirazione da un evento o da un libro in particolare?
Come ho già detto l’ispirazione l’ho tratta da un sogno e dalla mia tendenza a cercare qualcosa dietro l’apparenza, ma certamente è stata incentivata anche dal fatto di aver perso delle persone care, i miei genitori quando ero molto giovane e recentemente amiche carissime e il mio compagno nel 2019. Queste perdite hanno fatto nascere in me mille domande e la necessità di trovare delle risposte al mistero della morte che ho sperimentato così da vicino.
Ha mai pensato di dare un seguito a questa storia?
Si, ci ho pensato e mi piacerebbe, sarebbe un salto fantastico in una dimensione astrale. Non è escluso che lo faccia, ma non subito perché sto scrivendo un nuovo romanzo che racconta di questi ultimi due anni di pandemia in cui la nostra vita è stata sospesa.
A noi di Europa Edizioni non rimane che augurare buona fortuna a Miryam Marino per il suo romanzo Il Treno; di averla seguita attraverso l’iter di pubblicazione del libro, la ringraziamo per essersi messa a nudo nell’intervista. Ai lettori auguriamo di perdersi tra la pagine del romanzo e di ritrovare alla fine la meta.