Donna D’acqua è il romanzo di Carla Liberatore edito da Europa Edizioni che affronta una tematica delicata e complessa quale quella del riscatto personale e della capacità di risollevarsi.

Carla è una donna che si muove nel mondo ai margini del bene e del male…. del bene che ha dentro di sé e del male in cui si trova coinvolta, senza volerlo realmente ma senza opporsi realmente.
E Carla è una donna che a un certo punto ce la fa: decide che vuole cambiare la rotta della sua vita, e la cambia, senza incertezza e con forza. Una forza incrollabile che nasce dal desiderio, dalla necessità, di non finire ‘così’, bensì di rinascere ricostruendo una se stessa che è sempre esistita senza saperlo.
Noi di Europa Edizioni abbiamo intervistato con vero piacere l’autrice, per scoprire qualcosa in più su di lei e sulla sua Donna D’Acqua.
Riportiamo di seguito l’intervista a Carla Liberatore.
Al centro del libro una donna/bambina fragile e forte al tempo stesso: quanto c’è di lei?
Tutto, o quasi. È parte della mia storia di vita vissuta, non tutte le vicende raccontate mi riguardano personalmente però molto invece si. Mi piaceva contornare la protagonista di tanti personaggi da me conosciuti nella realtà che vengono contestualizzati tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’90 per concludere con un finale immaginario in questo tempo. Di me ci sono varie esperienze vissute in prima persona tra cui la malavita della provincia interna italiana che si esprimeva nel sottobosco sociale in quell’epoca, l’aver subito traumi di vario tipo e anche di averne generati. Ma tutto questo fa parte di una consapevolezza matura, adulta e finalmente integrata, elaborata e trasformata. Il passaggio esistenziale attraverso la materialità delle ‘botte’ di vita che una persona si ritrova o decide di vivere.
Quale messaggio intende veicolare attraverso questo romanzo?
Per scrivere questo romanzo ho dovuto intraprendere un percorso di studio e conoscenza durato sei anni, tre dei quali passato a scriverlo. Questo perché il messaggio che volevo mandare al lettore in questo racconto è quello di lavorare su sé stesso e di documentarsi sulla questione del narcisismo perverso. Nel narcisismo in sé per sé siamo tutti impregnati poiché si tratta di una reazione cerebrale e a volte anche biologica ai traumi causati da situazioni ma più verosimilmente da chi ci circonda. Il narcisismo è necessario alla sopravvivenza sociale degli umani e spesso lo si usa come chiave di apertura per l’accettazione sociale. Diventa perverso quando scaturisce in comportamenti invasivi e pervasivi nei confronti dei propri simili, spesso delle persone amate. Un narcisista patologico o perverso ritiene che coloro che ama siano una sua esclusiva proprietà e devono corrispondere in ogni istante in tutto e per tutto alle proprie aspettative e da lì il narcisista invade le sue vittime con la mania del controllo. Da ciò nasce la violenza psicologica, la manipolazione che spesso sfociano anche nella violenza fisica e a volte, purtroppo, nell’omicidio. Alla base degli omicidi per amore infatti ci sono elementi abitudinari di persone malate psicologicamente e questo perché non siamo ancora abituati a rivolgerci a degli specialisti e a riconoscere in noi stessi quelle situazioni che andiamo a generare facendo del male alla nostra persona e alle altre persone.
Si è ispirata a un libro in particolare per la stesura del romanzo?
L’ispirazione vera e propria per la stesura del romanzo mi è pervenuta come spesso accade, dalla osservazione di personaggi e situazioni. Nel caso specifico si è trattato di una ri-osservazione con relativa ri-lettura di persone e fatti accaduti. Per esempio, nel romanzo vengono riportati alcuni fatti di cronaca accaduti fra gli anni ’80 e ’90 che non avevo decifrato mai appieno fino ad oggi e li ho rielaborati appunto al margine del percorso che ho sopra citato con mente sgombra da elementi di assuefazioni alla perversione altrui. Altra ispirazione del romanzo è stato caratterizzato proprio dal fatto di aver condotto degli studi auto-didattici comprensivi anche dell’essermi messa in contatto con mental coaching e specialisti vari della comunicazione e della psicologia che mi hanno fortemente illuminato sulla strada intrapresa.
Ha delle abitudini speciali durante la scrittura?
Si! In genere la prima abitudine nell’intraprendere la stesura di un romanzo è quella di documentarmi su ciò che voglio scrivere. Questo mi da una prima idea precisa e lucida di come potrei iniziare a scrivere e su cosa esattamente. Un po’ come se il romanzo nascesse nella testa per poi trasferirsi sulle mani, sulla penna, sugli appunti scritti quindi anche sugli appunti vocali e via dicendo. Scrivere un libro, tanti dicono, che è un percorso, un specie di viaggio. Ebbene, questo viaggio innanzitutto inizia dentro noi stessi, diviene un percorso Esoterico ed Essoterico, tanto per citare Platone e far finta di avere una cultura, che non può aver inizio che con il fare le valigie mettendoci dentro quel che davvero ci occorre, a volte anche quello che ci è più caro. La conoscenza può avvenire soltanto se abbiamo la percezione netta e precisa di ciò che vogliamo dare ed avere e fin dove vogliamo arrivare. La meta però è soltanto il dettaglio finale. Quindi come seconda abitudine dopo essermi documentata su ciò che voglio scrivere, devo assolutamente documentarmi su me stessa. Un romanzo non si scrive mai solo per gli altri, lo scriviamo innanzitutto per noi al fine di decifrare per gli altri, cioè coloro che ci leggeranno, le nostre emozioni del vissuto o dell’immaginato. Infatti la bellezza di romanzi, per chi li scrive, è proprio quella di cambiare il finale a piacimento e di decontestualizzare persone, storie e situazioni per come avremmo voluto che fossero o per come le abbiamo immaginate, o nel caso della Donna d’Acqua, per come sono andate a volte.
Ha previsto un seguito per Carla o la storia finisce qui?
Le storie hanno sempre un seguito. Donna d’Acqua è nato da una riflessione accaduta nella mia mente mentre ero in macchina, d’estate, di mattina presto mentre godevo del fresco e di una bella canzone del passato. Ripensavo a tutte quelle immagini che poi ho descritto e nell’immaginare il romanzo mi sono chiesta: “E poi?”
Ecco, l’E poi è venuto da sé. Si è composto il pensiero nelle parole e nella stesura di una parte di vita. Quindi anche questa storia di Carla ha un suo ‘E poi’, un seguito di lotta, di rivalsa nell’ambito di una ripresa futura della vita stracciata e dimenticata. Un E poi fatto di porte chiuse, di solitudine, di emarginazione e di povertà che diviene un E poi che nemmeno la protagonista poteva mai immaginare qualche anno prima. Un E poi fatto di privazioni anche dell’essenziale come il cibo ad esempio. Infatti non è vero che nel mondo occidentale tutti abbiamo accesso al cibo e alle cure. Vorrei ci fosse un E poi fulgido e senza privazioni di questo tipo per tutte le persone del mondo. Vorrei un seguito in cui tutti possiamo non solo aspirare, ma vivere in un mondo equo fatto di inclusione e mai di discriminazioni, contornato dallo spirito di umanità e non di vanità ed egoismo che spingono nell’ostentare ricchezze alla faccia degli altri. Il seguito della Donna d’Acqua è fatto di un futuro sempre più ricco, felice e tranquillo a riscatto di quanto vissuto precedentemente. Non ci vorrebbe molto per migliorare gli umani e non serve nemmeno fare o essere degli idealisti (fra l’altro categoria arci-nota per essere contemplata nell’ambito dei narcisisti perversi); basterebbe lavorare su sé stessi, sempre, ogni giorno, instancabilmente e decifrare il senso della vita nel donare al prossimo e in ogni condizione, il meglio di noi.
Ringraziamo Carla Liberatore per la lunga e approfondita intervista che ha rilasciato a Europa Edizioni sul romanzo Donna D’Acqua. E auguriamo ai lettori una piacevole lettura.