Impronta, intervista all’autore: Cuba e il prodigioso decennio degli anni ’60

Abbiamo intervistato l’autore Fidel De Jesús Moras Bracero che ha recentemente pubblicato il suo primo romanzo Impronta con Europa Ediciones. Lo scrittore ci racconta la gestazione del libro, la spiccata natura autobiografica dell’opera, la vita studentesca a Cuba e il prodigioso decennio degli anni ’60 nella sua terra natale.

1. Quando è nato l’amore per la scrittura e in particolare il desiderio di scrivere la sua autobiografia? Da bambino aveva un diario o uno scrittore preferito?

Credo che non sia stata un’esigenza ma piuttosto qualcosa che cominciò a gironzolarmi in testa, e che come molte altre cose che mi sono successe mi ha segnato profondamente. Il viaggio che ho realizzato in Spagna nel 1997, grazie alla generosità di quella parte del mio albero genealogico di cui parlo in Impronta, determinò il momento della mia scelta. Lì scrissi i primi appunti che a mano a mano si sono arricchiti di idee che ho poi concretizzato in questo romanzo, scritto con amore, passione e perché negarlo, con orgoglio. Mi sono reso conto che in queste pagine ho raccontato non solo una piccola parte di ciò che è stata la mia vita, ma anche di quelle persone che l’hanno resa così bella e ricca, persone che mi sono state accanto e hanno contribuito al suo corso.

L’essere stato un lettore irriverente di scrittori straordinari di diverse epoche, origini e generi letterari, durante gli anni dell’adolescenza, mi ha indubbiamente ispirato, facendo germogliare quell’entusiasmo per la scrittura che spero mi accompagni sempre.

2. C’è un aneddoto della sua vita da studente che non ha raccontato in Impronta e che gradirebbe aggiungere alla sua storia?

Ne ho tanti, non solo uno. Per ovvie ragioni ho dovuto selezionarli da un vasto repertorio e scegliere gli eventi più rilevanti. Ho dovuto scartare alcuni aneddoti considerevoli per dare spazio ad aspetti fondamentali che non volevo tralasciare. Per esempio, nella terza parte del libro dedicata agli “amici eterni”, ho incluso anche coloro che mi hanno accompagnato solo in parte nel percorso formativo, poiché non mi sembrava giusto escluderli da questo mio piccolo omaggio. Così ho scelto l’epigrafe Epitafio para amigos eternos e non mi pento di averlo fatto. Avrei potuto includere altri aneddoti più interessanti che riguardavano la vita pre-universitaria, sicuramente più istruttivi e accattivanti, ma chissà se non li racconterò presto in un’altra opera.

3. Cosa hanno significato per lei i decenni degli anni ’60 e ’70?

Il decennio degli anni Sessanta è stato ricco di cambiamenti e sorprese in diversi ambiti: sociale, storico, culturale, sportivo, scientifico; le nostre aspirazioni personali crescevano insieme al rinomato decennio “prodigioso” cubano. Anche coloro che lo hanno vissuto senza avere molti soldi lo fecero con amore, solidarietà e amicizia. Fu un decennio che non dimenticherò mai, soprattutto perché si svilupparono nuovi metodi di ricerca per migliorare e prolungare la vita, così come nuovi tipi di farmaci. Sebbene queste scoperte non fossero delle più sofisticate, erano sorprendenti agli occhi di chi, come me, stava per intraprendere gli studi di medicina negli anni Settanta. Nonostante tutti i progressi del nostro tempo, gli anni del decennio prodigioso furono per me, e credo per molti altri, indimenticabili. Lasciarono un’impronta indelebile che suggerì il titolo di questo romanzo.

4. Lei ci ha detto che ritorna frequentemente alla sua terra natale, pensa di far leggere Impronta ai lettori cubani?

Mi piacerebbe moltissimo farlo leggere ai lettori cubani. Ho grandi amici tanto a Cuba come all’estero e sarebbe interessante sentire le loro opinioni e soprattutto, renderli partecipi di queste storie.

Tutti abbiamo qualcosa da raccontare. Per ragioni di privacy, i nomi degli amici sono stati cambiati nel romanzo, le ragioni sono ovvie e le spiego nel testo. Ciò non vuol dire che non li abbia impressi nella memoria. Se non fosse stato così non avrei potuto scrivere il libro. Alcuni di loro non ci sono più, ma rimangono i loro i cari. Devo confessare che molti di loro non li ho più visti mentre con altri ci siamo sentiti sporadicamente. Alcuni come me vivono gli anni della vita in cui si apprezzano i buoni ricordi, ricordi che amiamo e coltiviamo. Direi che li archiviamo in quella piccola parte della mente e del cuore che mantiene latente la vitalità, la forza, l’amicizia, l’affetto che abbiamo professato in quegli anni e ci accompagna oggi.

5. Lei che ha realizzato il suo sogno dopo tanto lavoro e determinazione, che consigli darebbe agli studenti universitari di oggi?

Direi loro di godersi questo periodo così bello, indimenticabile e sconvolgente della vita. Di trarne il meglio non soltanto dal punto di vista della conoscenza ma di imparare i sentimenti di amicizia, solidarietà, cameratismo, tolleranza e spensieratezza con cui si vivono questi anni. Auguro loro di ricordare gli amici e i compagni di questo periodo, di tenerli sempre al loro fianco, o impressi nella memoria qualora per ovvie ragioni si dovessero allontanare per seguire il corso naturale della vita.

Consiglio loro di coltivare le amicizie che li hanno accompagnati durante gli anni universitari, anni che non si vivranno più, che rappresentano una stella che brilla di luce propria, da non cancellare dalla propria mente e dal proprio cuore.

Grazie a Fidel De Jesús Moras Bracero per averci fatto riflettere sul valore dell’amicizia durante gli anni di vita universitari, un periodo “bello e indimenticabile”.

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